Light from infinity   Home page di  Fulvio Mete

 

                         

 

                                                              

                                             

                                              Una osservazione solare particolare:

                                          il caso del gruppo Noaa 775

                                                                           di       Fulvio Mete

                                                                                                  

                                                                                                 

 

 

 

 

Il 12 giugno 2005, sabato mattina, mi  preparavo, come faccio spesso, ad una ripresa in luce bianca della fotosfera solare approfittando della mattinata libera da impegni e del tempo, migliore rispetto ai giorni precedenti, con una limpidezza dell’aria notevole, anche se il seeing appariva non ottimale per via del vento di tramontana sostenuto.Erano visibili sul disco due gruppi di macchie  abbastanza interessanti: i Noaa 775 e 776, di estensione non eccezionale, ma comunque degni di nota (Fig.1).

                          

                    

                                                                                                           Fig 1

Alle 7 di mattina , poco dopo il caffè mattutino, misi in stazione la mia Losmandy G11 e tirai fuori dalla valigia il  rifrattore Takahashi 128 che da due anni ormai utilizzo con successo per questo genere di riprese.

Occorreva infatti far ambientare termicamente il rifrattore, anche se la differenza tra interno ed esterno era di soli 7 gradi circa:l’ ambientazione  doveva riguardare anche le altre ottiche: il prisma di Herschel Intes da 31,8, l’oculare Celestron Ultima da 7,5 mm che intendevo utilizzare ed i filtri. il filtro ND 0.9, l’Ir cut, ed il nuovo Baader Planetarium “continuum”, un filtro centrato a 540 nm, nel verde, espressamente progettato per le riprese solari.La modesta grandezza delle macchie rendeva necessaria una focale elevata per poter apprezzare i particolari: optai quindi per una distanza dell’oculare dal chip della camera Philips Vesta di  75 mm, pari ad una focale risultante di 9300 mm circa, forse eccessiva per il seeing del giorno,ma sufficiente a far apprezzare i particolari.Montai quindi il tutto: il rifrattore sulla montatura ed il prisma e gli altri accessori sul rifrattore.Il vento intanto aumentava, e non era buon segno, ma l’aria aveva una eccezionale trasparenza.

Alle nove ora locale, quando il sole fa capolino da dietro un palazzo di fronte al mio balcone, ero già pronto con un oculare munito di due filtri attenuatori (oltre quelli necessari per la ripresa) per puntare la regione solare d’interesse, e, una volta messa al centro del campo la 775, sostituii l’oculare con la Vesta, focheggiando l’immagine.Mi resi subito conto del seeing cattivo con una immagine ribollente, come del resto immaginavo, ma anche di una notevole incisione dell’immagine stessa, una volta ferma.

Cominciai quindi a riprendere un filmato AVI di 1 minuto circa, cui seguirono altri due .La parte centrale della 775 era ben strutturata, con un cospicuo “light bridge” chiaramente visibile anche sullo schermo del PC durante la ripresa.Purtroppo il seeing scadente non concedeva che pochi attimi di immagini ferme: su oltre 2000 frames ne avrei salvato, come risultò dopo, solo una settantina.

Terminata la ripresa, cominciai a selezionare con Avi 2 bmp, un simpatico programma freeware, i singoli frames da mettere poi a registro con Registax, che in genere preferisco ad Iris per la maggiore velocità di esecuzione.Una volta selezionati i singoli frames, una settantina, come detto,e mediati gli stessi osservai l’immagine finale (Fig.2).Confesso di avere una certa esperienza di riprese solari in alta risoluzione, e quindi quel che vidi mi colpì non poco: a parte il cospicuo ponte di luce, piuttosto comune nelle penombre delle macchie più grandi, la penombra della macchia in questione aveva un aspetto inusuale, una parte delle linee di materia che la costituivano sembravano infatti avvolgersi su se stesse, in una struttura spiraleggiante, come se ruotassero attorno ad un punto di perno con rotazione differenziale simile a quella delle galassie intorno al proprio nucleo.Anche l’ombra, il cui interno era ben visibile con le relative strutture granulari,presentava un aspetto non canonico,dato che sembrava dividersi in due parti.

                                               

                                      

                                                                                                        Fig 2         

 

Non sono un astrofisico solare, tuttavia ho una certa esperienza pratica nel campo della morfologia delle regioni attive, e questa era sicuramente fuori dell’ordinario: notando anche una evidente struttura articolata nell’ombra, provai a regolare i livelli della parte centrale della macchia con Photoshop, ottenendo una specie di doppia ombra, ovvero di due punti nei quali l’ombra era molto più scura e la temperatura della fotosfera, per converso, più bassa (Fig 3).Il ponte di luce ben visibile sulla penombra sembrava, inoltre, confluire nella zona umbrale di destra, rendendo l’immagine ancora più interessante.

                                             

                                       

                                                                                                         Fig 3              

                                                                                                     

Era chiaro che la conformazione non canonica della macchia era dovuta ad una singolare struttura del campo magnetico, ma in che modo questo influisse sulla morfologia della macchia era al di la delle mie conoscenze, né riuscii a trovare nulla di simile su alcuni testi della mia biblioteca specializzati nel settore della fisica delle macchie solari.

Ebbi allora l’idea di rivolgermi ad uno dei migliori Istituti italiani del campo, il Dipartimento di Fisica solare dell’Osservatorio di Arcetri, , che qui pubblicamente ringrazio,  dove una ricercatrice seria e preparata mi fornì la seguente spiegazione del fenomeno:

 

 

I dettagli della regione 10775  sono in effetti proprieta'
note delle regioni attive, nel senso che sono stati ampiamente osservati
in precedenza, ma va rilevato che occorre una buona risoluzione per
metterli in risalto. Non sono comunque capiti a fondo, anche se
sicuramente hanno a che fare con la topologia del campo magnetico. La
struttura a vortice  si pensa che 'rappresenti' per l'appunto
una topologia magnetica molto distorta rispetto al caso potenziale, un po'
come se un piede del dipolo magnetico restasse ancorato, e l'altro gli
girasse intorno, trascinando con se le linee del campo (evidenziate dalle
strutture di penombra). Queste topologie sono solitamente associate a
fenomeni di tipo esplosivo: ad un certo punto si raggiunge una
configurazione critica per cui le linee di campo si 'spezzano' (come una
molla troppo tirata) e si ha rilascio di energia con accelerazione di
particelle cariche, riscaldamento locale etc - i flare. In effetti il 12
questa regione ha prodotto almeno 2 flare di una certa entita'.
Inoltre la regione presentava una struttura magnetica cosiddetta a 'delta'
- ovvero in una stesso struttura di intensita' (una piccola ombra a
NE di quella da lei registrata) erano presenti entrambe le polarita'
magnetiche - anche questo indice di complessita' magnetica che porta a
fenomeni esplosivi.Per quanto riguarda l’ombra, l'ombra della macchia

non e' in effetti un blocco unico, ma ha variazioni
di intensita' che in genere corrispondono a zone di campo magnetico piu'
intenso - la convezione viene bloccata in maniera piu' efficiente e quindi
risultano piu' fredde. Probabilmente da qualche parte esistono misure di
campo nella macchia che potrebbero confermare questa ipotesi,

 Va detto pero' che l'analisi quantitativa di queste zone non e'
banale, perche' problemi di linearita' dei sensori e di luce diffusa
impediscono spesso di raggiungere buoni livelli di misura.

Il 'peduncolo'  si chiama normalmente 'light bridge' e si
registra spesso nelle ombre di macchie abbastanza grosse, ma non e' che se
ne sappia molto. La sua dimensione trasversale e' di solito molto ridotta,
quindi buone misure di velocita' e campo magnetico sono difficili da
ottenere al suo interno. Sono zone ovviamente piu' calde, ma ancora si
dibatte se la convezione sia presente al loro interno come nella fotosfera
'quieta'.  Le loro proprieta' sono importanti per capire come si formino
le macchie - se in maniera 'monolitica' o se come un assemblaggio di
strutture magnetiche piu' piccole in cui sono disperse zone prive di campo
magnetico.

 

A conferma dell’intensa attività magnetica della regione il solar Monitor della NASA riportava, dal 13 giugno in poi, delle riprese SOHO dai quali risultava un elevato campo magnetico del gruppo 775 ed un’intensa attività coronale. Dal magnetogramma MDI risultava, in particolare, il fulcro del campo magnetico nel centro della macchia, come immaginato.

In realtà,come è noto, l’attività magnetica delle regioni attive è strettamente connessa alla natura delle macchie solari ed alla loro esistenza.Le macchie sono,infatti regioni della fotosfera dove la temperatura  si mantiene a livelli inferiori a quelli delle zone circostanti, e tale fenomeno dovrebbe, come regola, avere una durata molto breve ,dato che i flussi di energia dalle regioni più calde a quelle più fredde dovrebbero rapidamente colmare la differenza e far terminare sul nascere l’evoluzione delle macchie. Ciò non avviene proprio perchè i campi magnetici all’interno delle macchie stesse inibiscono il flusso di energia termica diretto al loro interno.Talvolta poi campi magnetici particolarmente intensi nelle regioni attive producono topologie distorte rispetto alla norma, come nel caso in esame, dando origine a fenomeni di tipo esplosivo che cinvolgono anche la cromosfera.

In definitiva, l’osservazione in luce bianca della fotosfera solare, lungi dall’essere un’attività di routine o scarsamente coinvolgente, se effettuata a risoluzioni elevate può riservare sorprese interessanti per l’astrofilo appassionato.